ALL’ULTIMO MINUTO

Tosacani con cuffia

Fui svegliato nel cuore della notte dal cardiochirurgo più famoso della città. Impiegai un po’ a capire cosa stesse dicendo anche perchè avevo preso la sveglia al posto del telefono. Il caso sembrava interessante. Durante un delicato intervento era sparito dalla sala operatoria il nuovo pacemaker del paziente. Se non fosse stato ritrovato entro un’ora ed installato nel cuore il paziente sarebbe deceduto.

Saltai giù dal mio nuovo letto futon con il risultato di procurarmi innumerevoli ematomi al viso e alle ginocchia. In bagno scivolai sulle pietre del fiume Chubu della vasca da bagno con il risultato di procurarmi nuovi ematomi all’osso sacro. Prima di svenire li contai:  in tutto erano 27, così scrissi con una canna di bambù un promemoria con l’intenzione di cambiare arredatore, poi svenni.

In macchina arrivai di corsa all’ospedale.

Non trovai parcheggio e la lasciai in una via adiacente, sicuro di ritrovarla senza problemi, essendo io un investigatore privato.

Per coerenza feci le scale dei tredici piani del palazzo tredici gradini alla volta. Arrivato in cima, ansimando come una balena asmatica, scrissi un altro promemoria per ricordarmi la prossima volta di prendere l’ascensore.

Entrai in sala operatoria e vidi davanti a me tutto lo staff medico intento a cercare il pacemaker smarrito.

Su di un tavolo stavano raccogliendo tutto quello che fino a quel momento era stato ritrovato: un arto artificiale, due rotule, un bisturi arruginito, qualche transistor, una mascherina da chirurgo, una da Cenerentola, diverse paia di guanti. Ma del prezioso pacemaker nemmeno l’ombra. Il cardiochirurgo, vedendomi, mi disse di mettere subito la mascherina. “Non quella di Cenerentola! Quell’altra sig. Tosacani!”. La cambiai immediatamente. Non avevo tempo da perdere, e feci subito le domande di rito: “Coa è uccesso ua dentro”. “Cooosa!?” dissero all’unisono, tranne uno, tutti i presenti in sala. “Sig. Tosacani non è neccessario stringere il cordino della mascherina così forte.” Per fortuna, pensai allentandolo, anche perchè iniziavo ad avere bisogno di ossigeno. “Stavo dicendo, cosa è successo qua dentro?”. “Coooosa!?” dissero ancora una volta tutti, tranne uno, i presenti in sala. “Li scusi, è umorismo da sala operatoria.” rispose il medico ridendo. “Purtroppo è sparito il pacemaker che avremmo dovuto inserire nel cuore del paziente. E se non lo ritroviamo tra pochi minuti morirà. La situazione è grave. Molto grave.”

Che la gravità fosse grave l’avevo subito intuito anche senza essere n medico, del resto non per nulla sono un investigatore privato.

Iniziai a fare le domande all’anestesista. Nell’avvicinarmi a lui per interrogarlo aprii inavvertitamente,  inciampando in un cavo, una valvola gialla su di un piccola bombola alla sua destra. Un leggero getto di gas lo investì e dopo pochi secondi si addormentò, facendo solo in tempo a dire: “L’ultima volta che l’ho visto era sul tavolo vicino al tecnico del respirator…” Dannazione! Non aveva finito la frase ed ora mi ritrovavo a dover dare fondo a tutto il mio intuito per completarla e magari risolvere il caso.

Dopo un paio di minuti nei quali mi concentrai, chiesi al cardiochirurgo: “Per caso non intendeva dire di averlo visto accanto al respiratore?” Il medico assunse un’aria pensierosa ed anche lui dopo qualche minuto, quando credevo si fosse addormentato come l’anestesista, mi rispose che era possibile. Mi girai verso il tecnico del respiratore. Indossava una cuffia simile a quelle dei dj, aveva gli occhi chiusi e si muoveva come quei cagnolini di panno con la testa mobile che si usava mettere una volta sul pannello posteriore delle auto. Mi avvicinai a lui facendo cadere un vassoio pieno di strumenti chirurgici che fecero un baccano d’inferno. Ma il tecnico non sentì nulla. Mi voltai verso il medico che mi rispose con uno sguardo interrogativo. Mi avvicinai ulteriormente e dissi: “Mi scusi, lei ha idea dove può esser finito il pacemaker del paziente?” ma non giunse risposta. Con lo sguardo seguii il cavo delle cuffie fino alla presa e lo staccai alzandolo. Il tecnico aprì di colpo gli occhi che assunsero un’espressione smarrita. Si guardò intorno, e l’espressione sembrò dire: “Ma dove cacchio mi trovo? Ah, ecco, si, in sala operatoria e dovrei essere il tecnico addetto al respiratore.” Poi aprì la bocca e finalmente parlò: “Respirazione nella norma, Dottore. Pressione nella norma.” e sorrise sotto la mascherina al suo superiore. “Ma lei è un idiota! Ma come si fa ad ascoltare la musica durante un intervento a cuore aperto!? Si rende conto di quello che ha fatto!? Razza d’imbecille!” Il bisturi, lanciato dal chirurgo mi passò a due millimetri dal naso e si piantò nel muro dietro al tecnico, che cambiò colore in viso, passando dal rossore per la vergogna per la sua inettitudine al bianco cadavere della “morte mi è passata accanto ma per fortuna il medico è ipovedente. Nel frattempo, mentre assistevo a questo scambio di battute, notai che il cavo che avevo staccato dalla presa presentava uno strano, piccolo aggeggio elettronico di color verde con dei tubicini che spuntavano su tutti i lati e che sul retro riportava la scritta “International Pacemaker ltd.”. Il mio intuito mi spinse a fare una domanda al cardiochirurgo che veniva trattenuto a fatica da due infermieri. “Dottore, per caso quello che cercate è di color verde con dei tubicini ai lati e un led rosso che lampeggia?” “Si, perchè?” chiese mentre si calmava e faceva segno agli infermieri di lasciarlo. “Beh, credo di averlo trovato. Era attaccato al cavo del cuffie del suo tecnico.” Costui spalancò gli occhi e tornò cadaverico. “Credevo fosse il caricabetterie del mio lettore cd portatile…” disse, e voltandosi vide il vero caricabetterie sul suo tavolo. Staccai il pacemaker e lo passai subito al chirurgo il quale con estrema perizia lo mise nel cuore del paziente. Tirò un tale sospiro di soddisfazione che gli fece quasi ingoiare la mascherina. “Ancora un minuto e lo avremmo perso.” Un applauso, al quale anch’io mi aggiunsi, partì dalla sala operatoria all’indirizzo del medico. “Ed ora, a noi due imbecille.” Il tecnico era impietrito dalla paura per lo sguardo assassino che gli rivolse il chirurgo. “Hai usato il pacemaker scambiandolo per un caricabetterie!? Ti rendi conto di cos’hai combinato!? Ma cos’hai nel cervello, segatura da festa paesana!? Io ti stronco brutta testa di c….!” Il tecnico non sentì il resto della frase perchè svenne, cadendo a fianco dell’anestesista, per l’alitata a base di pizza, tonno, cipolle e aglio mangiata la sera prima dal chirurgo.

Ormai il mio compito in quella sala operatoria, dove si era rischiata la tragedia, era finito. Salutai tutti i presenti, che si congratularono con me per aver risolto brillantemente il caso. “Sig. Tosacani, la ringrazio per il suo inestimabile aiuto, senza il quale avremmo perso il paziente. Si ricordi che se un giorno volesse farsi operare io sono a sua disposizione.” Ringraziai per l’offerta, salutai di nuovo tutto il personale ed uscii. Feci i tredici piani a pelle di leopardo, morto, scivolando sul primo gradino tirato a cera dalla signora delle pulizie.

Il caso era risolto. Soddisfatto uscii in strada e mi guardai intorno. Qualcosa ancora non quadrava. Mi avviai verso il bar, ancora aperto. Chiesi al tizio al bancone se aveva un telefono. Mi fece un cenno con la testa e vidi che era appeso alla parete con al fianco un cartello con su scritto “telefono per investigatori privati”. Feci il numero che conoscevo a memoria, e chiesi al mio amico della Polizia se poteva aiutarmi a ritrovare l’auto che avevo perso.

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