La piccola venditrice di accendini a gas

venditrice di accendini 2 pp

Ci fu una volta una notte di Natale così fredda che persino Santa Claus preferì spedire i regali ai bambini di tutto il mondo a mezzo spedizioniere. Piuttosto che andarsene in giro con 78 gradi Cassius sottozero, quell’anno lasciò  a riposo slitta e renne e rimase a godersi il tepore del grande camino di casa sua, steso su di una pelle d’orso vivo e con una bottiglia di buon limoncello di Sorrento.

Barbarella, la piccola venditrice di accendini a gas da tutti conosciuta come Nunzia, avanzava faticosamente sul marciapiede ghiacciato con la pesante tracolla, mentre un vento gelido carico di fiocchi di neve taglienti come rasoi le sferzavano il viso già deturpato dall’acne giovanile.

Le espadrillas rosse che portava ai piedini pieni di geloni erano ormai ridotte a due miseri, inzuppati straccetti. Incrociò sul marciapiede un distinto signore che teneva con la mano un prezioso Borsalino sulla testa per evitare che il vento glielo portasse via. “Buon Natale, signore, vuole comprare uno dei miei accendini? Costano poco e ne ho di tutti i colori.” chiese con vocina esile. “Vaffa a te ai te i tuoi accendini, brutta striminzita, ho appena perso il vizio del fumo! ” rispose indispettito il distinto signore dal cappello prezioso.

Nel dire queste parole però si distraette e scivolò su di un tombino ghiacciato, ma nel tentativo di non cadere perse la presa sul cappello che volò in mezzo alla strada finendo sotto le ruote del tram 18 piazza S.Babila, insieme al cucciolo di carlino che sfuggito alla sua padrona non era riuscito a resistere alla tentazione di inseguire il Borsalino volante

L’uomo cadde comunque, e Nunzia alzò i dolci occhi azzurri al cielo sorridendo pensando che a volte un po’ di giustizia divina c’è. Poi si voltò verso il dolorante distinto signore ed iniziò a ridere e i suoi dentini battevano gli uni contro gli altri con il suono di una sgangherata mitraglietta.

Riprese il cammino nel freddo della sera. Incrociava passanti ai quali offriva i suoi begli accendini colorati, ma essendo miope come una talpa e avendo speso tutti i soldi guadagnati nelle sale VLT del quartiere invece di comprarsi un buon paio di occhiali, non si accorgeva di offrire i suoi prodotti anche a chi faceva uso di sigarette elettroniche. Si accorse perciò che se spente sui dorsi delle manine gelate, queste non provocano ustioni come quelle normali ma danno una bella e moderna scossa elettrica.

Barbarella, da tutti conosciuta come Nunzia, continuava sulla sua strada, incurante della cattiveria della gente, del vento, della neve, del freddo, dei ragazzini che la scherzavano

Svoltò un angolo e si trovò in una via illuminata da centinaia di decorazioni luminose che, cinicamente, le ricordavano che era la notte di Natale e che lei stava disperatamente cercando di vendere qualcuno di quegli accendini che aveva nella tracolla le cui cinghie di cuoio, un tempo servite a soggiogare dei buoi ad un carro, le stavano procurando sulle spalle delle piaghe al cui confronto quelle della Bibbia potevano considerarsi leggere abrasioni.

Si fermò un attimo per riposarsi ad una fermata del tram. Si tolse la tracolla e si sedette su di una panchina ghiacciata. Al suo fianco stava seduto un signore che le rivolse un bel sorriso. Lei si sentì sciogliere. “Signore, vuole comprare uno dei miei accendini? Questa sera non sono riuscita a venderne nemmeno uno. Mi farebbe un grosso regalo.” gli chiese. “Piccola mia, guavda che bell’ accendino d’ ovo impestato di diamanti posseggo. E’ un vegalo del pvincipe Emanuele Filibevto. Cosa vuoi che me ne faccia di un tuo volgave accendino di plastica?” rispose cortesemente il signore al suo fianco, che non aveva smesso di sorridere, dando così conferma alla piccola venditrice di accendini che si trattava di paresi e non di un sorriso. “Ma senti come parla questo stronzo?” fu il dolce pensiero dell’ infreddolita bambina in quella notte di Natale. Visto che anche in quel caso non sarebbe riuscita a vendere nulla, Barbarella, da tutti conosciuta come Nunzia, si alzò dalla gelida panchina e si strappò parte del lercio cappotto tarlato che indossava e che rimase attaccato al freddo metallo.

Alzò ancora una volta i dolcissimi occhi azzurri al cielo scuro e sorrise. Ma non molto convinta. Proseguì nel cammino verso casa e ad un incrocio vide un vigile al quale chiese delle informazioni sul traffico e su di un paio di vie e piazze delle quali non gliene importava nulla, così da far contento il pover’ uomo in divisa costretto anche lui a passare la notte più bella dell’ anno al freddo, anziché al caldo della sua casa e della sua famiglia. Il vigile, commosso, comprò, anche se non aveva mai fumato in vita sua, ben tre accendini ed una scatola di fiammiferi che Barbarella aveva ereditato dalla nonna.

Era così contenta di aver finalmente incontrato un po’ di vero calore umano che decise di tornare a casa a festeggiare anche lei. Si ricordò che avrebbe potuto cenare con i regali ricevuti da amici e conoscenti, come il salmone del lago Cernobyl o l’ insalata russa scaduta solo da venti giorni, avuti dal salumiere del centro, quello frequentato dalla gente in. Dopo aver attraversato parte della città con i piedini gelidi che le martellavano il cervello, i fiocchi ghiacciati che le colpivano gli occhi rendendo ogni passo un atroce tormento e passando accanto a sfarzose vetrine di negozi illuminati e pieni di gente che rideva contenta, arrivò vicino a casa sua, e subito il cuore le si riscaldò. Casa sua non era una reggia, anzi a dir la verità era proprio una catapecchia che si trovava in una zona industriale di periferia. Una zona così squallida e sporca che persino topi e blatte la evitavano per non deprimersi. Ma a lei, in quella gelida notte di Natale, sembrò un castello.

Aprì il portone che emise cigolando un rantolo sinistro e salì felice e leggera le scale. Da sotto il consunto tappeto prese le chiavi della porta, aprì e nell’ esatto istante in cui accese la luce si ricordò di non aver disinserito l’ antifurto. Fece in tempo solo a dire: “Fanculo a Santa Clau…” che l’ intero edificio saltò per aria. Seimila accendini esplosero simultaneamente insieme alle tre bombole di gas che Barbarella, un tempo da tutti conosciuta come Nunzia, usava per caricarli. Gli altri tremila accendini esplosero ad intervalli regolari per più di un’ ora.

 

A due chilometri di distanza un bellissimo bambino dai biondi riccioli, che morbidamente gli ricadevano sugli occhi azzurro com’è profondo il mare, stava appoggiato al davanzale della finestra della sua cameretta al dodicesimo piano di un lussuoso palazzo del centro. Cercava di rimanerci aggrappato tenendosi sulle punte dei piedini avvolti in morbide calzine antisdrucciolo con ricamati i disegni di Snoopy e Woodstock, equilibrando il peso del pannolino pieno raso delle scorie della cena. Gridò: “Mamma! Papà! Coete, ci sono i fochi tificiali! Coete! Plesto!” I genitori arrivarono, muovendosi al rallentatore come per centellinare quell’intenso momento di gioia familiare. Erano bellissimi e perfetti. Si misero ai lati del loro meraviglioso pargolo, che odorava come una fossa biologica, e guardarono estasiati lo spettacolo del magazzino che esplodeva lontano, in periferia.

Gli accendini e le bombole del gas con i loro meravigliosi colori disegnavano nel cielo immagini oniriche. “Guarda caro, che idea stupenda ha avuto l’amministrazione comunale a fare i fuochi artificiali la notte di Natale.” disse la donna. “Hai ragione, amore. E’ bellissimo. Solo dei professionisti potevano creare un simile spettacolo.” rispose l’uomo, e guardando negli occhi la moglie le disse: “Buon Natale, amore.” “Buon Natale a te, caro.”, e si baciarono.

I sensori disseminati nei loro corpi di classe tripla A segnalarono alla centralina domotica che il livello di endorfine raggiunto era quello ideale, le due telecamere poste ai lati della finestra si attivarono e iniziarono a riprendere: la loro gioia perfetta andò in onda a livello nazionale, abbinata ad una famosa marca di pasta senza glutine.

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